E una presenza che mi inquieta.
Vicino a me, silenziosa, angosciante. Incolore, tristemente macchiata di nero e grigio. Quasi non mi lascia respirare.
Ho paura di voltare lo sguardo. Ho paura che risvegli la mia coscienza beatamente assopita e che mi ricordi che il tempo scorre veloce, senza fermarsi mai.
Mi sento oppressa.
In casa, silenzio.
Sento il ronzìo del frigorifero, il ticchettìo dell'orologio, il battito del mio cuore che accelera leggermente.
Mi faccio coraggio. Mi volto piano, sposto gli occhi con una lentezza disarmante, consapevole del fatto che non si torna indietro.
E vengo travolta dal senso di colpa.
Perché sono lì.
Aperti.
Mi ricordano che l'esame è tra poco, e io li ho giusto sfiorati per mettere a tacere la coscienza.
Sento una stretta allo stomaco e così, senza preavviso, percepisco un ghigno provenire da loro. Da quelle pagine scritte e mai studiate, che sembrano dirmi col più maligno dei toni: "Te l'avevo detto".
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