E' davvero possibile ricominciare?
Nel corso di quest'anno, lo ammetto, è stata la domanda che più frequentemente ho posto a me stessa. Il problema è che quando cadi giù e ti sei procurato frattura alla caviglia, rialzarsi diventa più complicato. Lì per lì, quasi impossibile.
Deve passare tempo. E' la risposta più ovvia del mondo, lo so. Ma è così. Fasci la tua caviglia, la alzi e la metti a riposo per tre mesi, anche quattro. Bisogna che si ricostruisca dall'interno, piano. Ci vuole tempo.
Come si fa a ricostruirsi? Come fa l'uomo a ricostruirsi dentro?
Ho passato dei momenti terribili. Mente annebbiata dall'orgoglio, confusa dal conflitto tra ciò che stavo diventando e ciò che in realtà avrei voluto essere. Non sapete quanto sia difficile ammettere di aver sbagliato. E io avevo sbagliato, e di grosso anche. Solo che non lo volevo ammettere a nessuno. Nemmeno a me stessa.
L'anno scorso ho iniziato l'università. Ho preso giurisprudenza, convinta che fosse la scelta migliore, più logica per me. "E' un paracadute", pensavo. "Troverò lavoro e poi mi dedicherò a ciò che più mi piace".
NIENTE DI PIU' SBAGLIATO.
Ho iniziato ad andare a lezione dopo un mese e mezzo dall'inizio dei corsi. Una cosa davvero orribile per me, abituata a fare tutto con ordine e precisione, almeno nello studio. Sperduta in un ambiente non mio, in una città non mia.
I primi tempi fingevo che mi piacesse. Seguivo le lezioni, tornavo a casa e, qualche volta, studiavo. Prendevo appunti, tantissimi. E mentre cercavo di distrarmi inseguendo quell'insulsa quotidianità, dentro di me nasceva un qualcosa che nemmeno adesso riesco ad identificare con chiarezza. Partiva dal basso e, con subdola maestria, sfaldava quelle fondamenta che con fatica cercavano di sorreggere le mie fragilissime convinzioni.
Ogni giorno un po' di più, ogni giorno con più vigore.
Mi stava, inconsciamente, divorando dentro.
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