I social network ci hanno rammolliti. Tutti.
Siamo amici senza neanche cosa significhi l'agitazione che si prova nel dire un "ciao". Preferiamo il piacere voyeuristico dello "spiare" il mondo dietro la finestra virtuale di uno schermo. Abbiamo dimenticato il reale significato di "contatto".
Ho notato che la quasi totalità delle persone con cui ho avuto a che fare (principalmente apparteneti alla mia generazione, quella "social", dunque) non riesce a mantenere un contatto visivo che duri poco più di qualche frazione di secondo. Durante una conversazione si è portati a guardare altrove, proprio e soprattutto nel momento in cui è il nostro turno di argomentazione. Questo avviene non necessariamente con quelle persone che ci mettono in soggezione. Avviene e basta.
La base della conversazione, il contatto visivo, è stata quasi totalmente perduta.
Ci stiamo dimenticando come si fa. Come ci si approccia all'altro senza una possibile mediazione.
Perché preferiamo un messaggio al suono di una voce? Perché non un sorriso vero al posto di quei surrogati che quotidianamente ogni dispositivo possibile ci offre? Perché non la rabbia, le lacrime, un abbraccio, due occhi azzurri?
Io credo che la risposta risieda nella volontà, irrefrenabile e mai ammessa, di colmare quei vuoti lasciati dalle nostre insicurezze. Un no virtuale fa meno male di un no vero. Una battuta particolare fa meno arrossire se scritta, piuttosto che detta. Un "ti voglio bene" è più facile da scrivere che da dire.
Ma io dico che quelle stesse insicurezze che ci mantengono schiavi del virtuale sono anche quelle che ci rendono meravigliosamente umani. Il contatto non è un nome che rimanda a un profilo facebook, ma è quell'energia magica e fortissima che ci tiene connessi l'uno all'altro, legati indissolubilmente dalla forza di uno sguardo, dal calore di una mano posata sulla guancia. Anche io provo quella stessa paura di apparire strana, non carina, insicura, timida. Anche io faccio in modo di essere sui social quella che vorrei essere, creandomi un alter ego più simile a quello dei miei sogni, ma altrettanto uguale a milioni di altri. Altrettanto finto. L'unica cosa che ci tiene davvero connessi virtualmente è la stessa volontà di uscire dall'anonimato, uscire dallo schermo, quel desiderio fortissimo di voler instaurare quei tanto amati "contatti" anche nella vita reale.
Perché avere paura? Perché non provarci?
Rendiamo giustizia all'appellativo che ci hanno gentilmente affidato.
Niente è meno "social" del rimanere chiusi in casa di fronte uno schermo, chiusi in metro davanti ad un cellulare, chiusi all'università davanti ad un tablet.
Sempre, irrimediabilmente, soli.
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